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Midjourney e la creatività
Che cos’è la creatività? Nell’Enciclopedia delle scienze sociali (Treccani, 1992), lo psichiatra Giovanni Jervis la definì come “quella capacità della mente che si traduce nella produzione di innovazioni nei processi di conoscenza e di dominio del mondo oggettuale. Affinché un’innovazione venga designata come creativa, o venga attribuita a creatività, occorre che sia consensualmente apprezzata come un salto di qualità rispetto allo stato precedente del sapere e/o della tecnica. Creativi sono dunque in pratica, e più concretamente, tutti i processi intellettuali che comportano l’introduzione di nuove concezioni e soluzioni: queste possono consistere, nei casi più tipici e marcati, in rivoluzionari punti di vista filosofici e scientifici, o nell’invenzione di nuovi apparati tecnici atti a raggiungere risultati desiderati”.
È una definizione ad ampio spettro, ma si applica bene all’ambito che ci interessa, quello iconografico, quindi in una certa misura artistico. Le nuove piattaforme di intelligenza artificiale generativa come Midjourney sono capaci di creare un numero potenzialmente infinito di immagini che un istante prima non esistevano, a partire da una serie di istruzioni scritte (prompt) e attingendo all’enorme volume di materiale contenuto nel database.
Possiamo pensare di usare liberamente quelle immagini (e che, usandole, queste ci permettano di mantenere il dominio del mondo oggettuale benché non siamo stati noi a crearle) come strumenti di comunicazione per veicolare un preciso messaggio? Se il messaggio di un brand è improntato alla trasparenza e all’onestà intellettuale, fattori sempre più determinanti nell’orientare la scelta dei consumatori, diffonderlo con l’ausilio di immagini create artificialmente potrebbe mettere in dubbio quella stessa volontà di trasparenza che si cerca di affermare. Una certa tipologia di consumatori potrebbe essere indotta a pensare che se l’immagine non è reale, allora non sono del tutto autentici nemmeno il messaggio e le promesse che sottende.
Inoltre a livello di processo creativo, un conto è affidare all’IA la realizzazione di contenuti a partire da un concetto originale, ben altra cosa è affidarle sia la creazione dei contenuti sia, contestualmente, anche quella del concetto. Prendiamo a esempio una celebre campagna del 1994 con cui la Pirelli promuoveva le prestazioni dei suoi pneumatici: lo slogan “la potenza è nulla senza controllo” è rafforzato dall’immagine straordinariamente incisiva di Carl Lewis, il leggendario centometrista statunitense, fotografato da Annie Leibovitz ai blocchi di partenza con ai piedi un paio di scarpe rosse coi tacchi a spillo. È poco probabile che l’IA, date le informazioni di base sul messaggio che si vuole trasmettere (“in un veicolo la qualità degli pneumatici è un fattore fondamentale”), sia in grado di elaborare dal nulla un concept forte e immediato come quello della campagna Pirelli. E anche quando le si fornisce lo slogan originario e, tramite gli opportuni prompt, le si chiede di tradurlo in metafora visiva, la macchina non riesce a creare nulla di lontanamente paragonabile, per efficacia, all’immagine di Carl Lewis.
Sempre a proposito della creatività nella sua accezione più ampia e multidisciplinare, Giovanni Jervis scrive ancora: “È vero che i salti più creativi della conoscenza scientifica e della tecnologia sono oggi dovuti, assai più che un tempo, a un lavoro collettivo, e cioè implicano sia collaborazioni quotidiane dirette fra scienziati e tecnici di uno stesso istituto, sia collegamenti ed emulazioni fra enti e laboratori distanti fra loro. Tuttavia è possibile osservare che lo sviluppo delle scienze e delle tecniche risponde di fatto ancora largamente, e forse non meno che nei decenni e nei secoli precedenti, all’inventività e genialità dei singoli. (…)
Tuttora accade molto comunemente che pochi soggetti forniscano, anche all’interno di situazioni di lavoro di gruppo, specifici contributi personali di grande portata: il carattere collettivo della ricerca non ne oscura infatti, in genere, il chiaro e inequivocabile spicco come individui singoli. (…) I soggetti così designati non soltanto sono capaci di singole concezioni o invenzioni originali, ma dimostrano anche in genere un notevole grado di fecondità o molteplicità di idee. L’idea stessa corrente della creatività, oltre a possedere quindi un evidente contenuto qualitativo (identificabile con il grado di innovatività o di originalità), ne ha anche uno quantitativo, in quanto implica l’immagine di una ricca produttività propositiva”.
È ipotizzabile, e magari anche sensato dal punto di vista economico, che a un gruppo di lavoro in ambito artistico si faccia partecipare l’intelligenza artificiale, se non altro per la “produttività propositiva”, cioè la capacità di sfornare idee in abbondanza e quindi di stimolare la fantasia degli altri partecipanti, ma non è per nulla scontato che l’idea dirompente venga proprio da essa. Al tempo stesso c’è da chiedersi se, continuando a demandare il guizzo d’ingegno alla macchina, non finiremo per impigrire la mente e atrofizzare il nostro potenziale creativo fino a perdere la facoltà di produrre mezza idea originale, e con essa il nostro “dominio del mondo oggettuale”.
Ora, immaginiamo per un momento un futuro in cui sia accaduto proprio questo, e in cui creativi, illustratori e fotografi siano scomparsi perché soppiantati dall’IA che realizza le idee nel momento stesso in cui le genera. Possiamo presumere che i contenuti, anche se prodotti tutti dalla stessa macchina, continueranno a essere di tre tipi: buoni, meno buoni e geniali. Quale sarà il fattore differenziale che distinguerà i meno buoni dagli altri? Probabilmente l’accuratezza e l’originalità dei prompt, che forse continueranno a essere forniti da un essere umano. Si comincia già a parlare di una nuova disciplina, il prompt engineering: che, tradotto in altre parole, è semplicemente l’arte di chiamare le cose col nome giusto.
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