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Quanto conta il fattore umano nel marketing?
Alcuni anni fa, sul lungolago di Toronto, in Canada, ho incontrato un mago. Un evento che, almeno all’apparenza, non ha nulla a che vedere col titolo di questo post. Il mago aveva i capelli lunghi e spruzzati di grigio raccolti sotto una bandana, gli occhi chiari e penetranti, il volto solcato di rughe, era magro come un chiodo ed era in costume da bagno. Il suo nome: Jason. Nonostante l’aspetto aveva poco più di trent’anni, ma l’età, ovviamente, non conta: dalla letteratura degli ultimi tempi abbiamo appreso che i maghi possono cominciare l’attività praticamente ancora bambini.
Jason era seduto sulla spiaggia del lago Ontario e qui compiva i suoi sortilegi: prendeva una grossa pietra e la piantava nella sabbia, poi ne prendeva un’altra, la appoggiava delicatamente in bilico sull’angolo della prima, la ruotava con lentezza, un paio di millimetri a destra, un paio a sinistra, gli occhi fissi su quell’esiguo punto di contatto, quindi al momento giusto staccava le mani e – per miracolo – la pietra rimaneva al suo posto, immobile, venti chili di roccia cristallizzati in un equilibrio a prima vista impossibile. Poi, allo stesso modo, Jason metteva una terza pietra sulla seconda, e una quarta sulla terza, fino a ottenere un totem greve e al tempo stesso leggerissimo, una negazione della legge di gravità, incredibile al punto che, avvicinandomi per guardarlo meglio, mi sono sorpreso a trattenere il respiro per paura di farlo crollare.
Il sole tramontava. Jason aveva trascorso sulla spiaggia tutto il pomeriggio ed era circondato da una foresta di totem, e i passanti si fermavano ammirati (“Come ha fatto? Li ha incollati?” chiese uno di loro) e gettavano monete nel cestino del mago. Su un foglio di carta una scritta a pennarello: grazie per ciò che potrete darmi, questo è il mio lavoro.
Mi intrigava un uomo che per mestiere aveva scelto di mettere pietre in equilibrio una sull’altra, così mi sono fermato a parlargli. “Un tempo volevo fare lo scrittore” disse Jason “ma poi ho sentito il richiamo della natura. Ho abbandonato Toronto, sono andato a vivere nella foresta e ci sono rimasto per dieci anni. La faccenda delle pietre è nata per caso. Un giorno ho cominciato a giocare con i ciotoli, e senza rendermene conto mi sono ritrovato a fare questo. E il bello è che lo faccio con assoluta naturalezza, senza sforzo. Ogni pietra ha un centro di gravità e un solo possibile punto di equilibrio, e io lo sento, e so esattamente come e dove appoggiarla: è la pietra stessa che me lo comunica. In altre parole, ho imparato qualcosa dalle pietre conversando con loro, ma se volessi trasmettere questo qualcosa a un altro essere umano non saprei come fare, perché non potrei esprimerlo a parole.”
Quel che disse Jason – ecco cosa c’entra la sua storia col titolo del post – sembrava tratto di sana pianta dalle 95 tesi del Cluetrain Manifesto, un testo imprescindibile per chiunque faccia impresa o lavori nel marketing. Quando uscì, nel 1999, alla presentazione del primo iPhone mancavano ancora otto anni. Ma le lezioni contenute in quel libro, rivolte a chi voleva fare business tenendo conto di che cos’era e di che cosa sarebbe diventato il mondo digitale, sono ancora straordinariamente attuali. Anzi, forse non sono mai state così attuali come oggi.
La prima delle 95 tesi dice: “I mercati sono conversazioni”. Vale a dire che le aziende sono obbligate a dialogare con i loro interlocutori e stakeholder più importanti: i clienti, il personale, le comunità locali e gli azionisti. Chi si occupa di marketing e comunicazione per un’azienda ha anche il compito di creare sul mercato la domanda, che è la leva che muove l’economia e genera profitti. E il modo migliore per creare la domanda è uno storytelling in grado di instaurare una conversazione fra l’azienda e il suo mercato potenziale.
I social media hanno stravolto le regole della comunicazione: oggi il pubblico ha un potere che era inimmaginabile soltanto pochi anni fa. Le aziende sono chiamate a confrontarsi con quel potere, partecipando in tempo reale a questa grande conversazione collettiva col pubblico, che è uno dei principali stakeholder. E dal momento che si tratta di una conversazione e non di un monologo, è cruciale che le aziende sappiano mettersi anche in modalità di ascolto, e mantengano costantemente il polso della loro reputazione all’esterno e la capacità di gestirla. Una delle tesi del Cluetrain parla chiaro: “Le aziende devono rendersi conto che i mercati ridono spesso. Di loro”.
In sintesi: i mercati sono fluidi, volubili, non di rado imprevedibili e inviano i loro segnali in una lingua spesso oscura, com’è all’apparenza quella delle pietre. Chi vuole dominare le dinamiche di un mercato deve perciò essere padrone della sua lingua, saperla parlare, ma più di ogni altra cosa ascoltare, cogliendone le infinite e sottili sfumature. Esattamente ciò che serve per poter mettere delle pietre in equilibrio l’una sull’altra.
Torniamo per un istante a Jason. Di fronte alle sue dichiarazioni, è facile sentirsi tentati di liquidarlo come il solito hippy, il visionario che parla con le pietre, il fallito che non è riuscito a inserirsi nel sistema e ha scelto la fuga nella foresta. Ecco uno spunto di riflessione: che differenza c’è tra Jason e Michelangelo? A molti verrebbe da rispondere: il primo accatasta sassi, il secondo ha scolpito un capolavoro come il David. È vero. Ma non era Michelangelo a sostenere che le sue sculture esistevano già, imprigionate all’interno del blocco di marmo, e tutto ciò che lui si limitava a fare era liberarle dalla pietra in eccesso? Un modo elegante per dire che anche il grande artista parlava con le pietre poiché capiva la loro lingua.
È probabile che chiunque, come Jason, scegliesse di vivere in comunione, o in risonanza armonica, con la natura, dopo qualche tempo acquisirebbe le sue stesse doti. Jason non ha fatto lo scrittore: eppure, a modo suo, si può considerare un poeta, o un abilissimo professionista della comunicazione. E ciò che lo rende tale è il fatto che si tratta di una persona: nessuna macchina, per quanto intelligente, potrebbe replicare la sensibilità che permette al mago di Toronto di realizzare le sue costruzioni impossibili.
Il fattore umano è fondamentale anche quando si tratta di conversare con i mercati. Le tesi 2, 3, 4 e 5 del Cluetrain Manifesto dicono: “I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici; le conversazioni fra esseri umani suonano umane, e sono condotte in una voce umana; la voce umana, non importa se diffonde informazioni, opinioni, argomenti di disaccordo o digressioni umoristiche, è tipicamente aperta, naturale e spontanea; le persone si riconoscono fra loro come tali grazie al suono di questa voce”.
Quando si tratta di rivolgersi ai mercati, nessuna macchina è in grado di parlare, ma soprattutto di ascoltare, con l’empatia e l’efficacia di un membro della stessa specie.
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