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27.12.2023

Tempo lettura: 7 min

Transizione culturale: comunicare il cambiamento aziendale

“L’organizzazione che non può comunicare non può cambiare, e l’azienda che non può cambiare è morta”. È una frase che avrebbe potuto scrivere Charles Darwin a proposito dell’evoluzione delle specie, e che molti manager hanno ben chiara in testa. Soprattutto nel contesto odierno, in cui i brand si ritrovano ad avere un ruolo sempre più importante nella transizione verso la sostenibilità, o a esserne investiti di fatto – volenti o nolenti – da una cospicua maggioranza dei consumatori.

Secondo una ricerca della Harvard Business School, il 79% dei consumatori è convinto che le aziende abbiano le risorse per fare la differenza nelle cause che li interessano (la maggior parte delle quali hanno a che fare con tematiche ambientali e di uguaglianza sociale), il 77% è motivato ad acquistare da brand che si impegnano a rendere il mondo un posto migliore, mentre 9,3 dipendenti su 10 ritengono che le aziende dovrebbero dichiarare pubblicamente di perseguire uno scopo sociale. In altre parole, l’azienda che non soddisfa queste aspettative si trova di fronte alla prospettiva concreta di perdere le sue risorse più preziose: i clienti e il personale.
Ne consegue che per un’azienda, esattamente come per una specie, l’attitudine ad abbracciare il cambiamento (ossia a evolvere), la capacità di comunicare la propria evoluzione sia all’esterno che all’interno e il grado di sostenibilità sono prerogative cruciali: in gioco c’è la sopravvivenza.

Transizione culturale per la sostenibilità

Per integrare i princìpi di sostenibilità nel proprio business, rafforzare la resilienza per far fronte alle crisi ambientali sempre più frequenti e garantirsi un futuro, è imprescindibile che un’azienda affronti una transizione culturale interna a tutti i livelli, dal management al personale, e in ogni settore, dalle strategie commerciali a quelle di comunicazione, alle modalità organizzative. Un processo tutt’altro che scontato, dato che spesso la cultura aziendale – il pilastro che definisce i valori fondanti dell’impresa e ne orienta le strategie – può essere restia al cambiamento. Il management ha il compito indispensabile di dimostrare che la sostenibilità non soltanto è un imperativo categorico, ma ha lo stesso peso dei risultati finanziari, dell’efficienza operativa, della salute e della sicurezza del personale, ed è chiamato a incentivare le persone che lavorano per l’azienda a fare propria la cultura della sostenibilità, rendendosi parte attiva nel processo di transizione: un processo che per sua natura non può compiersi se non grazie a uno sforzo corale.

Tutto ciò deve necessariamente passare per un piano di comunicazione interna chiaro, incisivo e capillare, per poi rivolgere il messaggio agli stakeholder esterni, tenendo presente come (sempre secondo i dati diffusi dalla Harvard Business School) il 95% dei dipendenti dichiari di non comprendere la strategia dell’azienda per cui lavora, il 68% affermi di aver abbandonato la propria azienda per passare alla concorrenza a causa della comunicazione interna carente e il 46% delle aziende lamenti di aver perso clienti a causa di messaggi di comunicazione esterna percepiti come confusi e contraddittori.

L’antropologo statunitense Edward T. Hall paragona la cultura organizzativa d’impresa a un iceberg. La cosiddetta cultura superficiale – la parte emersa dell’iceberg – pesa per un decimo del totale ed è definita da politiche aziendali, procedure documentate come il codice d’abbigliamento, espressione del brand, tecnologie, organizzazione dei processi, struttura organizzativa, benefit riservati al personale. Sotto la superficie si trova la cultura profonda, che rappresenta il 90% della massa ed è composta da fattori quali la capacità di risposta al cambiamento, le procedure di recruiting, i pregiudizi culturali, l’equilibrio fra lavoro e vita privata, l’avversione al rischio, i livelli di autonomia concessi al personale e, in generale, una serie di regole non scritte. Mentre la componente superficiale è più predisposta al cambiamento, intervenire sulla cultura profonda – molto radicata, pertanto riluttante e rigida per natura – può rivelarsi un processo irto di ostacoli.

La cultura aziendale e il management

La transizione culturale all’interno dell’azienda non può prescindere da una lucida visione di sostenibilità da parte del management, capace di diffondersi nell’intera struttura come un dogma e di costituire una fonte d’ispirazione per ogni decisione strategica e organizzativa presa a ogni livello dell’organigramma.

Per delineare tale visione, può essere utile individuare i tratti rivelatori di una cultura della sostenibilità troppo debole, e di conseguenza le aree che richiedono gli interventi più urgenti. Per esempio, fra i manager della prima o della seconda linea ci potrebbe essere una percentuale rilevante di negazionisti del cambiamento climatico, o di indifferenza rispetto alla necessità di avviare la transizione energetica nei processi produttivi energivori. Potrebbe risultare del tutto assente una strategia di sostenibilità con relativa divisione dedicata, oppure per quest’ultima potrebbe essere stato allocato un budget inadeguato. O ancora, le strategie aziendali volte a percorrere una precisa road map verso la sostenibilità potrebbero non essere comunicate con la dovuta enfasi al personale, che dunque ignorerebbe come la propria azienda stia operando in tal senso.

L’importanza dei valori inclusivi

Secondo Edward T. Hall, la parità di genere nella pratica dell’ambiente di lavoro è una componente importante fra quelle che definiscono la cultura d’impresa profonda, la parte sommersa dell’iceberg. È evidente come un processo di transizione culturale all’interno di un’azienda sia destinato al fallimento se costretto a scontrarsi con pregiudizi nei riguardi di genere, razza e orientamento sessuale. Diffondere una sana cultura dell’inclusività e della diversità come risorsa a tutti i livelli – dalle procedure di selezione dei candidati all’esperienza di on-boarding, alla quotidianità del lavoro – è un passo cruciale da compiere in ottica di transizione. Ed è probabile che, trattandosi di cultura profonda, sia anche uno dei più ardui e rivoluzionari, destinato com’è a scontrarsi con un retaggio solidamente radicato. È importante in tal caso saper riconoscere le criticità, affrontarle con la massima onestà intellettuale e coltivare l’attitudine all’apertura, per esempio tramite robusti percorsi di formazione del personale o lo svolgimento di un audit culturale esterno.

Comunicare la transizione culturale e il cambiamento

La transizione culturale trascende il semplice intento del management, per quanto determinato: è l’intera organizzazione che deve agire per metterla in atto. Il primo passo è individuare gli obiettivi, ma poi è necessario diffonderli a cascata e creare le condizioni affinché tutti comprendano quanto sia importante raggiungerli, e quanto determinante il contributo del singolo. Il personale deve capire a fondo che cosa intende l’azienda per sostenibilità e in che modo poter partecipare attivamente al processo di transizione. Nulla di tutto ciò è realizzabile senza un piano di comunicazione interna che non si limiti a parlare, ma che trasmetta chiaramente la disponibilità ad ascoltare e accogliere le preoccupazioni, i dubbi e le ritrosie che ogni processo di cambiamento inevitabilmente suscita.

Al tempo stesso, è vitale per il raggiungimento degli obiettivi individuati che l’azienda li comunichi con altrettanta chiarezza e con la massima coerenza ai propri consumatori, instaurando anche con questi un dialogo alla pari e rendendoli parte integrante del processo. Poiché, come visto, quasi 8 su 10 di essi sono disposti a dare fiducia alle aziende che si impegnano per cambiare il mondo: l’attestato più convincente di questo impegno è dimostrare di aver cominciato da se stessi.

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